Considerazioni sull’articolo di Giacomo Mauro D’Ariano e Federico Faggin
Recentemente ho letto un articolo sulla coscienza, il suo significato ed il rapporto con l’intelligenza artificiale.
[2012.06580] Hard Problem and Free Will: an information-theoretical approach (arxiv.org)
L’articolo è molto interessante ed ispira alcuni approfondimenti. Descrive la coscienza come un insieme di stati quantici e riporta le critiche sulla relazione fra intelligenza artificiale e mente umana.
La coscienza, un sistema non replicabile
La prima considerazione che mi illumina è la coscienza come atto non replicabile. Viene descritta come uno stato quantico e quindi per teoria quantistica non replicabile.
Come conseguenza teorica (non affatto trascurabile) la nostra mente (intesa come lo stato di ogni singolo individuo) non può essere investigata. Spostiamo in là il confine di quello che potremo o non potremo fare. Ne desumo (ottimisticamente) l’impossibilità di controllare la mente umana.
Speculare a quanto detto prima, il fatto che effettivamente l’intelligenza artificiale dato un hardware ed una memoria che implementa il set di dati fornito come training, è un oggetto riproducibile (almeno secondo la teoria). I due approcci sono quindi totalmente differenti ed anche le implicazioni teoriche che ne scaturiscono.
L’equivoco fra coscienza ed intelligenza
Siamo portati a pensare che la coscienza e l’intelligenza siano caratteristiche affini. I lavori degli autori sostengono invece che mai l’approccio attuale all’intelligenza artificiale (fisica classica, macchina di turing per intendersi) potrà portare al concetto di coscienza.
Il dibattito può sembrare inutile e poco interessante. In realtà il punto è quello di rispondere se le macchine anche elaborate potranno pensare ma ancora di più avere coscienza del loro pensiero.
In passato ho definito il perimetro del potere.
Il Potere deriva dall’essere. Cioè si parla di Potere, in presenza dell’essere.
Solo per sviscerare questo punto occorrerebbero secoli di storia. Mi voglio
fermare ad una considerazione banale ma non scontata. Per parlare di Potere
è necessaria la presenza di un essere che ha la capacità di definire con un
atto (più o meno volontario). Tutto quello che esce da questo perimetro non
si può considerare Potere. Se vogliamo è una definizione alquanto arbitraria
ed apre una serie di implicazioni filosofiche non scontate.
Ugualmente ho dibattuto sulla estensione del Potere all’intelligenza artificiale. Questo articolo cambia il paradigma. Ponendo l’accento non tanto sulla intelligenza e sulla sua capacità di imitazione, quanto sulla coscienza. In questo senso possiamo specificare ulteriormente che il Potere è l’atto di agire da parte di una coscienza che ha contezza di se.
Sappiamo che la coscienza di se è indimostrabile al di fuori della nostra sfera personale. Quindi potremmo dire che il Potere è lo specchio del mondo nella nostra coscienza e viceversa la coscienza di se che si specchia nel mondo.
Di fronte ai misteri della vita, rimaniamo soli con noi stessi.
La definizione di intelligenza ed intelligenza artificiale
Come già argomentato in un altro articolo, la definizione di Turing di intelligenza artificiale è una definizione semiotica e quindi tautologica. Se una macchina appare intelligente sotto ogni punto di vista, allora quella è intelligenza.
Ma la parte umana dell’intelligenza (si sostiene) è coscienza. Non capacità di elaborare. Si ritorna quindi alla definizione ontologica di intelligenza, da affiancare a quella di Turing.
Credo che questa definizione, ancora per molto tempo, sarà assiomatica.
“Ho contezza di pensare, ho coscienza di me. Credo che anche altri intorno a me abbiano questa consapevolezza”.
In fin dei conti, anche questo, è un “pre-giudizio”. Andiamo bene…