Il sistema della moda secondo Barthes. Un contributo di “classe”
Roland Barthes (Roland Barthes – Wikipedia) è sicuramente uno dei maggiori studiosi della moda come sistema di significazione. Un interessante approfondimento potete trovarlo a questo indirizzo (Capitolo 1).
L’analisi di Barthes è di natura linguistica e si appoggia sulle basi della linguistica saussuriana (e derivati).
Io descrivo il Potere come una connotazione del segno, che lo caratterizza in termini di relazione, classe, profitto. La classe (non si equivochi con le classi sociali che hanno una caratteristica statica e non collegata al segno) connota il segno. La classe è un insieme di individui che ci appaiono come omogenei (ma che potrebbero decidere di essere diversamente di come appaiono e quindi la loro appartenenza è legame di un rapporto).
La moda ha caratteristiche simili. Anzi, proprio la descrizione in classi (e loro semantica) permette di dare corpo al collocamento sociale delle dinamiche della moda. Forse quell’anello che manca nella analisi di Barthes al fenomeno della moda.
Se analizziamo l’unità culturale moda, questa connota una serie di classi. Le classi possono essere strettamente identificate (rigidamente significate – si potrebbe dire) come per esempio le divise dei corpi militari, oppure quelle mediche e sanitarie. In questo caso, caratterizzano l’appartenenza rigida di un individuo ad un certo corpo sociale. Le classi però possono essere più eterogenee. Una volta, esisteva una rigida codifica per un impiegato di banca. Ora questi contorni sono più sfumati, ma non meno importanti. Se parliamo di dandy o paninari, sappiamo esattamente (o immaginiamo quanto meno) l’abito associato. Ugualmente è classe / stile, l’abbigliamento moderno, classico, sportivo.
Per quanto (a dire il vero) una modifica alla moda che sta evolvendo la nostra società, è quella di separare in maniera maggiore rispetto al passato, la moda dalla politica e la moda dalla classe sociale (non dal reddito naturalmente).
E’ la classe (contenuto) che definisce l’espressione (l’abito). E la classe è un collettore semantico che ci fornisce importanti chiavi di lettura.
E’ l’appartenenza alla classe che da l’espressione di una certa modalità di concepire il proprio abito. Se vogliamo questa è una tautologia. Non però nelle analisi che possono essere definite.
Barthes identifica una componente paradigmatica ed una componente sintagmatica anche applicata alla moda. Io sostengo che è la classe che ne determina questi aspetti e li regola (in maniera non rigida ma fluida in alcuni casi).
Per un manager è inappropriato arrivare con le scarpe sporche di fango. Non solo per una ragione utilitaristica, ma anche per una ragione formale di rappresentazione di se stesso. Dall’altra parte un operaio in cravatta, sarebbe guardato in maniera diversa dai colleghi. Non solo per questioni tecniche (forse anche economiche). Ma perché spezzerebbe un legame di classe e di appartenenza che farebbe di quell’operaio oggetto di scherno. Questo concetto di appartenenza è di per se un legame che crea espressione. Passiamo quindi, da un fenomeno individuale, ad un fenomeno di classe.
La classe è dunque un elemento imprescindibile di analisi strutturale della moda. La qual cosa, avvalora gli scritti di Barthes a riguardo. Semplicemente la declino in maniera più specifica e precisa.
La prova di commutazione (con riferimento a Louis Hjelmslev – Wikipedia) può essere applicata al concetto di classe / espressione di abito. Per esempio un appartenente all’esercito non potrebbe mai sostituire i calzoni con un costume. Ne cambierebbe la classe verso chi indossa costumi di carnevale. E’ possibile quindi utilizzare il concetto di classe come forma del contenuto, nella prova di commutazione. Credo un concetto relativamente innovativo.
Ora il punto centrale. La moda è significazione ? Cioè io comunico qualcosa con il mio abito ? Inconsapevolmente si. Ma credo che la più grossa comunicazione, in fondo, sia proprio l’appartenenza conscia o inconscia ad una classe. La classe nella moda è quindi un insieme di espressioni individuali (vedi langue e parole di de Saussure), ma è possibile identificare caratteristiche comuni di espressione che denotano una appartenenza ad una classe (sia essa sociale – ricco/bianco/colto, sia essa cercata ribelle/ricca/colta, sia essa collegata ad obblighi di sicurezza o sanitari). Possiamo quindi dire che è la classe ad esprimersi in un abito (più o meno forzato) e non viceversa. Ma la classe è elemento imprescindibile di analisi di una semiotica della moda.
Di più, il concetto di classe è imprescindibilmente legato ad ogni analisi sociale di quello che potrebbe essere e non è e di quello che potrebbe non essere ed è. La classe è una chiave di lettura di ogni analisi semiotica. Viceversa sarebbero formule matematiche di previsione certa.
Anche il tempo è una caratteristica che va ulteriormente analizzata. Una persona può cambiare abito nel corso del tempo (breve termine), cambiando abito e quindi appartenendo a più classi in periodi di tempo vicini. Ugualmente il tempo da luogo a fenomeni diacronici sul linguaggio della moda (già studiati da Barthes). La prima relazione con il tempo è quella più interessante che dovrà essere indagata per le sue interessanti caratteristiche come sistema. Il paradigma (insieme di classi in assenza) è di per se classe ulteriore (militare/ inquadrato, militare / ribelle, ecc. ecc.).
L’applicazione alla moda (come d’altronde ad altri ambiti) pone l’accento sul concetto di classe come aggregato semantico. Aprendo la necessità di capire se la classe si forma in virtù di un interpretante (e quindi dando luogo a differenti interpretazioni della connotazione) o come evidenza del testo “sociale”.
Un breve articolo questo, che in realtà potrebbe essere meno vuoto di quello che potrebbe apparire ad una prima lettura.